di Andrea Bignardi - L'Ora di Cronache
Nonostante il rischio Covid, le assicurazioni non spiccano il volo. Anzi, nonostante l'imminente riapertura di attività ad alto rischio di contagio la domanda (e l'offerta) di prodotti che possano garantire una protezione dal rischio coronavirus scarseggiano. Alla base, secondo Aldo Melisi, imprenditore nel settore assicurativo, ci sono sia motivi di convenienza economica - legata alla scarsità di incassi - sia fattori culturali. "In Italia - afferma - si considerano le assicurazioni come un costo quando invece nei paesi anglosassoni sono percepite come una necessità. Fino a fine febbraio è rimasto tutto invariato sostanzialmente. Eravamo appena agli inizi della pandemia, quindi tutto sommato il nostro settore è rimasto stabile. Qualcosa è iniziato a cambiare sin dai giorni immediatamente successivi al lockdown".
Cosa è accaduto? Si è trattato di un calo degli introiti o dello sviluppo di nuovi prodotti atti a garantire sicurezza ai clienti in vista dell'imminente dilagare del contagio, con tutti i rischi del caso?
"Dopo il 15 marzo sono iniziati a calare sia gli incassi delle agenzie dislocate sul territorio che quelli del mercato in generale. Si sono iniziati anche a sviluppare, in via preliminare e sperimentale, nuovi prodotti assicurativi, che prevedevano una qualche forma di garanzia per il contagio da Covid-19".
Questi nuovi prodotti assicurativi hanno riscosso successo?
"A dire il vero soltanto una compagnia aveva sviluppato un'assicurazione legata al rischio da coronavirus. A fronte di denunce di sinistri per ben sei milioni, gli incassi si sono fermati a quota cinquecentomila euro. Va da sè che la scelta di mercato si sia rivelata presto infelice. A partire dal 4 maggio tutte le compagnie hanno in qualche modo ripreso ad incassare. Ciò sta avvenendo anche grazie a strategie di marketing che cercano in tutti i modi di evitare un'ulteriore perdita di clientela. Un po'tutte le compagnie stanno cercando di alimentare la ripresa ricorrendo a forme di rimborso. Ciononostante, siccome noi operatori del settore siamo abituati a fare il punto della situazione ogni giorno, possiamo dire che anche un mercato cruciale come quello assicurativo ha subito un calo rilevante degli incassi".
La clientela, in vista della ripresa di numerose attività a rischio - quali, ad esempio, quelle degli studi odontoiatrici, dei parrucchieri, degli estetisti - ha avanzato richieste di protezione assicurativa?
"Richieste specifiche da parte della clientela, in tal senso, non ce ne sono state. Per la ragione che spiegavo in precedenza, in effetti, manca ancora sul mercato una gamma sufficiente di prodotti che possa garantire il loro acquirente rispetto al rischio di contagio da Covid-19. Nemmeno in passato le polizze assicurative sanitarie preesistenti sul mercato hanno mai garantito il sottoscrittore in materia di rischio di contagio da virus. Altra cosa, invece, sono le assicurazioni sulla vita, per le quali il rimborso è sempre garantito".
La carenza di polizze specifiche sul mercato può essere anche ascrivibile a fattori culturali?
"Purtroppo in Italia non abbiamo una cultura simile a quella anglosassone: si percepiscono le assicurazioni come un costo, non come un importante elemento di protezione da futuri rischi. Eppure sono prodotti importanti non soltanto per quanto concerne l'aspetto meramente sanitario del problema, ma anche quello economico. La crisi economica, infatti, inizia già a mordere, e non sono poche le critiche che giungono a governo e regione per i ritardi nei pagamenti previsti dalle misure varate tra marzo ed aprile, in primis dal decreto Cura Italia. Pensiamo, ad esempio, ad una famiglia monoreddito, in cui si vive con il solo stipendio del padre. Una situazione a dir poco diffusa nel nostro paese e soprattutto nel Meridione. Nel malaugurato caso in cui, per motivi direttamente o indirettamente legati all'escalation dell'epidemia, venga meno l'unica fonte di reddito di quel nucleo familiare, i nodi vengono al pettine. Nei paesi anglosassoni, invece, l'assicurazione si utilizza per qualsiasi cosa: la si considera come una necessità a tutti gli effetti".
Come mai in Italia quest'aspetto non viene preso - indipendentemente dal coronavirus - in adeguata considerazione?
"Perchè, per nostra fortuna o sfortuna, abbiamo un sistema sanitario che tutto sommato funziona. Lavorare nel nostro mondo non è assolutamente semplice. Occorrono conoscenze trasversali, in settori che vanno dall'economia, alla medicina, alla statistica fin pure alla sociologia. Eppure in un mondo futuro in cui l'autoimprenditorialità sarà un valore rilevante e nel quale, spero, cresca una cultura della previdenza, giovani e motivate risorse potranno intraprendere percorsi professionalizzanti per lasciarsi aperte tantissime ed importanti opportunità di crescita".
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