La circolare Inail sul banco degli imputati. Che terrorizza e che crea imbarazzi, ma soprattutto paure, in questa delicata fase due. Come se non bastasse già l’immagine invisibile del coronavirus, sul fronte edile, la ripartenza ha creato altri timori, come se il settore non ne avesse di propri visto la crisi imperante già da qualche anno. «Allo stato attuale manca il 20% delle imprese edili all’appello in quest’avvio di fase due. – avvisa Angelo Grimaldi, presidente di Unaco – Hanno aperto circa un 80% d’imprese ma tutte con paure di fondo, terrorizzate. Non si sentono tutelate dalle Legge, dallo Stato. Terrorizzate da questa circolare Inail che, praticamente, equipara il contagio da covid come un infortunio sul lavoro. Responsabilità civili, già di per sé gravose, con l’aggravante di quella penale. Molti di noi lavorano nel pubblico e sapete che ciò comporta l’impossibilità a concorrere in lavori edili con Enti pubblici. E’ questa una situazione che andrebbe variata, anche se dall’Inail ci è arrivata rassicurazione in merito che, per la verità, non rasserena più di tanto. Ma c’è il rammarico di fondo che non sono presi correttivi in merito». Unaco con Federcomtur, sono state fra le prime a contestare la circolare, chiedendone immediatamente la variazione della norma. Tant’è che la stessa è restata tale, anche in avvio di fase due nell’emergenza covid. «Ripeto, ci sono state rassicurazioni che non bastano. – riprende Angelo Grimaldi – Di fatto resta la norma che al momento non fa dormire sonni tranquilli. Per la verità c’è anche da affermare che per i collaboratori edilizi i 2/3 della giornata sono fuori dal lavoro edile, perché la giornata tipo è di 8 ore. A questo punto, per il calcolo probabilistico e statistico il “famoso” contagio potrebbe avvenire anche fuori dallo stesso orario di lavoro. Potrebbe, ipotesi per assurdo, avvenire il contrario, con il vettore che potrebbe essere anche lo stesso collaboratore. E in questo caso cosa accadrebbe? L’azienda sarebbe chiusa, con la decisione che sarebbe presa in base al numero di operai contagiati. E magari, in seguito anche fallire. L’imprenditore, a questo punto, dovrebbe rivalersi sull’operaio? Questo ad esempio non è previsto nella circolare. Dico, ci sarebbe proprio una questione giuridica che andrebbe considerata e che non mi sembra sia stato ancora fatto. Ci sarebbe l’inversione dell’onere della prova anche se l’Inail afferma che già esiste. Credo che ci sia uno sbilanciamento evidente da parte dell’Istituzione che legifera con il legislatore che potrebbe aver preso una clamorosa svista e non riesce a tornare indietro». Nonostante proprio le richieste da parte di associazioni di categoria di rivedere la normativa, tutto resta immutato. «E’ da oltre un mese che abbiamo avanzato i nostri dubbi. Siamo stati tra i primi a ravvisare l’evidente discrasia della norma. Ripeto che è una cosa a dir poco sbilanciata fra le istituzioni e le imprese edili». In buona sostanza, c’è uno squilibrio di fondo, dovuto anche alle stesse ore lavorative, con il contagio che potrebbe avvenire anche lontano dai posti di lavoro. «Il 75% della giornata l’operaio la vive fuori dal lavoro, i conti sono facili da farsi. Ma in questo caso, domando, perché colpevolizzare a tutti i costi l’azienda? Non è nemmeno una lotta fra poveri, come qualche sigla sindacale potrebbe pensare. In primo piano c’è la Salute, di tutti. Dall’imprenditore a tutti gli operai estesa anche alle stesse famiglie. Intanto resta questa norma che crea timori e imbarazzi».
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