Nella Sala Verde presente all’interno della Multimedia Valley è stato proiettato uno dei film maggiormente acclamati dal pubblico e dalla stampa durante la scorsa stagione cinematografica: "Io Capitano" del regista italiano Matteo Garrone. Presentato tra i film in concorso durante l’80esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, oltre ad essersi aggiudicato il Leone d’argento per la miglior regia è stato anche candidato ai Golden Globe e inserito nella cinquina finale come miglior film straniero agli Oscar 2024. Nel 2008, durante l’ultimo mese d’estate prima dell’inizio del liceo, un sensibile ragazzo taiwanese americano di 13 anni impara ciò che la sua famiglia non può insegnargli: come pattinare, come flirtare e come amare sua madre.
Matteo Garrone oltre ad aver realizzato un’opera di indubbia bellezza cinematografica, ha anche portato sul grande schermo una storia da intendersi più come atto di coraggio, per il modo con il quale ha trattato il tema della migrazione africana. La sua visione, il suo modo di raccontare la storia di Seydou, la pone sotto un punto di vista più simile a quello della favola. Un racconto di formazione che per alcuni aspetti ricorda la storia di Pinocchio, nei luoghi e nelle relazioni con gli altri. A condividere questa odissea c’è il cugino Moussa, artefice di questa voglia di evadere da una difficile realtà, tanto da convincerlo a scappare da casa . Come dei moderni Ulisse, i due ragazzi si trovano a dover assistere ad eventi violenti, privi di ogni umanità e doversi salvare la vita, da situazioni estremamente pericolose, piene di insidie e che - inevitabilmente - li portano a doversi confrontare con due grandi giganti della vita dell’essere umano: la paura dell’ignoto e il timore di poter morire da un momento all’altro.
"Io Capitano" è riuscito e riesce a conquistare il pubblico ad ogni visione, fornendo anche un valido argomento di discussione tra i giovani spettatori e tra quelli più adulti. La maestria di Garrone come cineasta in grado di raccontare una vicenda drammatica, senza calcarne troppo la mano, traspare in tutta la durata del film. È un film verità, un racconto che non vuole essere la cronaca di eventi drammatici ma vuole semplicemente mostrare come un giovane uomo cerca di trovare il suo posto nel mondo, sebbene con estrema difficoltà. La traversata del deserto con il sole che picchia forte, come bestie sopra bolidi a quattro ruote lasciandosi alle spalle l'odore di famiglia e di casa e di quei corpi che, sbalzati per terra dalla stanchezza o da qualche infame dosso, restano lì a bruciare per sempre. E poi i pianti, le ferite, la fame, la sete, la prigione, le torture e il danaro da trovare a qualsiasi costo, e condizione, per pagare alla propria vita la 'libertà' di mettere piede sopra barconi e gommoni e chissà cos'altro con l'acqua del mare che non di rado, gelida e tormentata, finisce per inghiottirla nel suo ventre. E' storia di tutti i giorni.
Accade lontano dai nostri occhi ma non dai nostri cuori. E' quella illusione della distanza che i giffoner della sezione Impact, durante la terza giornata di Festival, hanno attraversato insieme a Seydouu Farr e Moussa Fall, i due giovani senegalesi protagonisti del pluripremiato film di Matteo Garrone. Pellicola con cui il regista italiano ha acceso i riflettori sulle vicenda dei migranti africani illuminandone gli angoli sconosciuti o peggio ancora ignorati. "Siamo felici di essere a Giffoni per incontrare e parlare con persone della nostra stessa età di una storia che appartiene non solo al popolo africano ma all'intera umanità. Questo film è un controcampo sulla realtà. Una realtà drammatica e complessa della quale si vede solitamente la coda, l'arrivo cioè delle imbarcazioni nelle acque del Mediterraneo. C'è invece molto altro. Troppo, altro". Seydouu ha diciannove anni e voleva fare il calciatore. Moussa ne ha ventuno e già sognava di recitare. "Siamo grati a Garrone, un maestro, per questa straordinaria opportunità" sottolineano all'unisono. "Ha creduto in noi dal primo momento e sul set ci ha guidato lasciandoci anche la libertà di improvvisare. E' stato tutto incredibile. Fatichiamo ancora a crederci". Per Moussa, in particolare, la realtà si palesa davanti agli occhi al Festival di Venezia "quando per la prima volta ho visto il film sul grande schermo. Mi sono emozionato, ho pianto tanto. Sono fiero perché ha mostrato per intero la realtà dei migranti. Ha mostrato il volto fraterno e solidale degli africani. Ha mostrato tutto, tutta la realtà".
Seydouu e Moussa hanno pudore a raccontare e raccontarsi. Ma sanno - e sentono- che è giusto farlo per chi quel viaggio della speranza poi diventato viaggio di morte lo ha vissuto per davvero. "Fare questo film è stato in un certo senso come essere al loro fianco. E' come se anche noi fossimo partiti. Ne abbiamo avvertito il dolore, la sofferenza, la tragedia. Ancora oggi ne sentiamo la responsabilità. Siamo orgogliosi di aver dato voce alla loro storia". Ma la strada non è sempre stata in discesa. "Ci sono stati momenti difficili durante le riprese in cui avrei voluto mollare tutto" confessa Seydouu. "Se non l'ho fatto è grazie a mia madre e mia sorella. A mia madre, tra l'altro, sono grato anche per avermi trasmesso la stessa passione per la recitazione che aveva da giovane". Moussa tira fuori un aneddoto simpatico e significativo: "Mi sono iscritto ai casting senza sapere di cosa trattasse il film. Quando sono arrivato sul set ho trovato dei panni sporchi da indossare. Mi sono detto: Cos'è questa roba? Quando ho capito che si sarebbe parlato di migranti ce l'ho messa tutta per rendere onore a quanti sono partiti e continuano a farlo, a quanti non sono mai giunti a destinazione. C'ho messo il cuore. Lo stesso cuore che ci mettono queste persone".
Per lui la scena più difficile da girare è stata "quando sono stato diviso dal mio compagno di mio viaggio per essere portato in prigione. Ho pianto come se fosse vero" ammette cedendo poi la parola all'amico: "Mio padre è morto anni fa tra le mia braccia. Quando nel film ho dovuto girare una scena simile non è stato per nulla facile". Il film Io Capitano ha fatto tappa anche in Senegal. Per Sydouu e Moussa è stato un dono indimenticabile: "Garrone ha voluto che venisse proiettato nei villaggi. La gente piangeva e si abbracciava. E' stato molto intenso. C'erano anche le nostre famiglie. Alcuni ragazzi si sono avvicinati per dirci che, pur avendo voglia di conoscere altre parti del mondo, non sarebbero più partiti a quelle condizioni". Il tema dell'edizione numero 54 di Giffoni è l'illusione della distanza. "Quando testa e cuore non sono collegate tra loro si perde il controllo delle cose creando una profonda distanza dalla vita" riflette Moussa, a voce alta e cuore aperto. Nella sala Blu della Multimedia Valley le emozioni sono forti. E tante. Come gli applausi che accompagnano la consegna del premio Impact Award ai due attori senegalesi. "Siamo tutti esseri umani. E tutti dobbiamo essere liberi di viaggiare, scoprire, conoscere il mondo. Di sognare. Per il popolo africano non basta comprare un biglietto per farlo. Per farlo deve soffrire la fame, la sete, il freddo, piangere, piangere tanto. Sognare, però - concludono Sydouu e Moussa "non ha colore".
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