Da Giffoni arriva un messaggio d’amore e di speranza. Lo dice molto chiaramente il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, oggi in visita alla cinquantaquattresima edizione del Festival ideato da Claudio Gubitosi. Ed è proprio Gubitosi ad attenderlo al suo arrivo perchè il Cardinale Zuppi possa immergersi nella magia di Giffoni, conoscerne le strutture, coglierne lo spirito, i valori, il senso più profondo. "La cosa più importante è guardare con speranza al futuro e da qui nasce molta speranza. Dobbiamo imparare l’accoglienza di cui tra l’altro abbiamo un grande bisogno perché solo così riusciamo a darci un futuro vicendevolmente. Io farei un grande Giffoni perché se un posto piccolo come questo attrae così tanto è proprio perché c’è un grande desiderio di non essere indifferenti e qui c’è una storia di ascolto, di attenzione, di dare fiducia. Se l’Europa diventasse un po’ più Giffoni saremmo più contenti e ritroveremo le varie radici dell’Europa. Qui c’è tanta intelligenza, tanta voglia di partecipazione, di cambiare davvero questo mondo. Qui c’è tanto noi, l’io senza il noi diventa pericoloso".
Tante, tantissime le domande, gli spunti che arrivano dai ragazzi di Impact! Ed il Cardinale Zuppi risponde con pacatezza, con il sorriso sulle labbra, anche di fronte a questioni delicate, che investono la Chiesa. Perché se c’è l’esigenza di una Chiesa più inclusiva e moderna, chi rappresenta la Chiesa deve aprirsi a questa istanza, provando a comprenderla. Ed il Presidente della Cei lo fa, decisamente. Il riferimento è alla comunità queer. Come si rapporta la Chiesa? La risposta del Cardinale Zuppi non elude la domanda. Il riferimento costante, anzi, è al bene, un bene senza etichette. "Mi piace partire da quello che a Lisbona davanti ad un milione di ragazzi il Papa ha detto con tanta insistenza, in maniera chiara e semplice. Nella Chiesa ci devono stare tutti, a prescindere da qualsiasi consonante o vocale e questo è importantissimo. Bisogna capire cosa significa queer a mio parere. Me lo spiegò una persona il cui nome era Michela ed il cui cognome era Murgia. Mi raccontava di questi figli che aveva con cui non aveva un legame di sangue, poi sposò un uomo perchè gli voleva bene e perchè lui potesse continuare ad aver quel legame con questi figli. Credo che può esistere un legame senza che necessariamente ci sia un risvolto giuridico. Il punto è volersi bene".
Il rapporto tra fede e capacità di amare, non è semplice per un uomo di Chiesa affrontare questo nodo che è molto contemporaneo, dentro le dinamiche della nostra società. Anche in questo caso il Cardinale Zuppi va al cuore della questione, senza ipocrisie: "C’è bisogno di credere per forza? No, c’è tanta gente che non crede ed è un grande esempio di altruismo. Aiuta credere? Si. Ti aiuta a volergli bene per davvero. La fede cristiana dovrebbe spingerti verso gli altri. La fede ti aiuta a non inquinare l’amore, ad essere gratuito con gli altri. L’amore per te, per Dio e per il prossimo è tutto insieme grazie alla fede. E questo per me è bellissimo. La fede ti aiuta a non fare classifica nell’amore". L’opposto è l’individualismo che pure è un male dei nostri tempi: "E’ una malattia pericolosissima che ti fa vivere come un’isola e ti rende infelice. Invece, noi siamo contenti quando impariamo ad amare e a farlo senza senso del possesso. Il legame deve essere di amore, un legame impegnativo e liberissimo. Questo è l’amore. Esiste il male perchè lo possiamo scegliere così come possiamo scegliere l’amore. Abbiamo questa possibilità di scegliere, altrimenti la vita sarebbe schiavitù".
Al centro c’è il ruolo della Chiesa, la selezione dei suoi rappresentanti sulla terra, il senso di colpa e l’ipocrisia. Sono sferzanti gli spunti che arrivano dalla platea. Il Cardinale Zuppi non si scompone: "Il problema è della Chiesa ma è di tutti noi. Certo, se tu rappresenti qualcosa o qualcuno, devi essere serio, devi essere bravo. E superare quell’ipocrisia per cui io sono quello che dico. Siamo, invece, in un mondo che è di una ipocrisia che fa schifo, un mondo che cura l’apparenza e la prestazione, che umilia le fragilità". La Chiesa cattolica instilla senso di colpa, il richiamo arriva dalla sala: "Forse era così nei tempi passati - spiega il presidente della CEI - la mia generazione ha vissuto di più questa cosa. Il senso di colpa in assoluto non è sbagliato. I sensi di colpa non vanno cancellati, ma vanno affrontati. E’ sbagliato vivere di sensi di colpa ma allo stesso tempo è sbagliato annullarli. Perchè ci aiutano a migliorare. Così come il peccato non è moralista. Ci aiuta a migliorare perché in genere i limiti ci aiutano. Ecco perchè dico che il cristiano è un uomo libero, libero di voler bene".
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