Una delle "questioni internazionali" meno pubblicizzata ma più importante che si sta avendo riguarda uno dei paesi più poveri del mondo: il Bangladesh. Pochi giorni fa arriva la notizia che l’ONU sta inviando investigatori per comprendere i crimini che l’ormai ex-premier bangladese potrebbe aver commesso. Per comprendere la vicenda, tuttavia, siamo costretti a spostarci un passo indietro e capire come siamo arrivati a questo punto.
Sheikh Hasina Wazed è stata il decimo primo ministro dello Stato del Bangladesh, governando dal 1996 al 2001 e poi ininterrottamente dal 2009 a quest’anno. Segretaria dell’Awami League, partito di centro del paese, è nota per le sue proteste anche violente durante il suo periodo di opposizione (1991-1996 e 2002-2009) e per la sua dialettica aggressiva. Fu particolare il suo secondo governo, criticato poiché vassallo dell’India, dimostrando come la classe politica del paese sia (almeno in parte) un burattino che svolge gli interessi di paesi circostanti piuttosto che del proprio. Oltre a ciò, anche le sue politiche, volte a far aumentare l’impresa privata a discapito di un welfare state solido. Si va ad aggiungere a ciò poi anche la riforma elettorale delle elezioni del 2014, dove si poteva notare l’assenza di amministratori super partes. Senza contare delle sue politiche economiche che, anche avendo un fine che potrebbe essere condivisibile, hanno portato il debito nazionale a salire del %238.
I primi a dichiararsi contrari alle politiche della premier sono stati gli studenti, preoccupati per la svolta liberistica che il paese stava compiendo. Ad affiancarli però sono arrivati gli operai, stanchi anche loro delle loro condizioni e volenterosi di qualcosa di più. Le proteste continuarono per mesi, anche se represse del governo con la forza causando più di 20000 feriti e 200 morti. Tutto questo si fermò il 5 agosto di quest’anno, quando le proteste ottennero le tanto richieste dimissioni della premier Hasina e del suo gabinetto. L’ex-premier si trova adesso in India, in una residenza top secret in attesa di un verdetto definitivo.
È alquanto inopportuno come un momento storico come questo, che segna la storia di un paese, non sia sufficientemente portato all’attenzione del grande pubblico. La rivoluzione in Bangladesh ci dimostra che un cambio di rotta diretto dal basso non solo è possibile, ma in certe condizioni è necessario. Prima di arrivare a conclusioni affrettate, naturalmente, si aspetteranno gli esami giuridici degli inviati delle Nazioni Unite, ma nel mentre si può già respirare un’aria nuova all’interno del paese, con ragazzi che ridipingono i muri e ridecorano le città per dimostrare una festa permanente per una libertà ritrovata e riacquistata.
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