di Massimiliano Catapano
Danilo Iervolino, imprenditore di spicco e noto patron della Salernitana, è stato condannato a quattro anni di reclusione per corruzione dal giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Napoli, Enrico Campoli. La sentenza è giunta al termine di un processo celebrato con rito abbreviato, nel quale sono emerse gravi responsabilità legate a episodi di corruzione che hanno coinvolto alti dirigenti del Ministero del Lavoro. Oltre alla pena detentiva, per Iervolino è stato disposto anche il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione per i prossimi quattro anni.
Le accuse e i protagonisti della vicenda
La vicenda ruota intorno a un intreccio di favori e accordi illeciti emersi nel 2023, ma che risalgono a fatti avvenuti nel 2019. Al centro delle accuse vi è l’assunzione di Antonio Rossi, figlio di Concetta Ferrari, segretaria generale del Ministero del Lavoro, presso l’Università telematica Pegaso, all’epoca di proprietà dello stesso Iervolino. Rossi ha ricoperto il ruolo di docente per circa tre anni, percependo uno stipendio totale di 68.000 euro, somma successivamente sequestrata dalla Guardia di Finanza. Secondo l’accusa, guidata dal pm Henry John Woodcock, l’assunzione di Rossi sarebbe coincisa con una serie di richieste avanzate da Francesco Cavallaro, segretario generale della Cisal. Tra queste, il parere favorevole alla scissione del patronato Encal-Inpal in due entità separate – Encal-Cisal e Inpal – che avrebbero continuato a beneficiare di sovvenzioni pubbliche, mantenendo vantaggi economici significativi.
Le condanne
Danilo Iervolino è stato condannato a quattro anni di reclusione, come richiesto dal pm Woodcock durante la requisitoria dello scorso 16 settembre. Più pesante la pena inflitta a Francesco Cavallaro, che dovrà scontare cinque anni di carcere e affrontare l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, oltre al divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione per cinque anni. Una pena minore è stata invece inflitta a Mario Rosario Miele, collaboratore di Iervolino, che ha ricevuto una condanna a due anni e otto mesi.
I dettagli del caso
L’inchiesta ha svelato un sistema di favori che avrebbe coinvolto alti funzionari e sfruttato le connessioni tra la Cisal e Unipegaso per ottenere benefici personali e istituzionali. Cavallaro avrebbe elargito favori in cambio di appoggi per la scissione dei patronati, assicurandosi che le nuove entità continuassero a ricevere finanziamenti pubblici. La documentazione raccolta nel fascicolo evidenzia un quadro di corruttela sistematica, in cui gli interessi privati prevalevano sugli obblighi istituzionali.
L’impatto sulla Salernitana
Va sottolineato che i fatti contestati non riguardano in alcun modo l’attività gestionale dell’U.S. Salernitana, società calcistica di proprietà di Iervolino. Tuttavia, la vicenda rischia di gettare un’ombra sulla figura dell’imprenditore e di riflettersi sull’immagine pubblica del club. "In relazione alle odierne notizie di cronaca giudiziaria che riguardano il proprietario Danilo Iervolino, l’U.S. Salernitana 1919 precisa che la vicenda non è riferita in alcun modo al club e non influenzerà minimamente la normale prosecuzione delle proprie attività sia sotto il profilo finanziario, sia dal punto di vista manageriale, grazie alle autorevoli e competenti figure di riferimento in ogni ambito", recita la nota della società. "Sicura che al più presto il patron Danilo Iervolino dimostrerà nelle sedi opportune la totale estraneità ai fatti contestatigli, tutta la famiglia dell’U.S. Salernitana 1919 ribadisce di essere al suo fianco in misura compatta, certa di un rapido e felice chiarimento della questione".
Conclusioni
La sentenza rappresenta un colpo duro per Danilo Iervolino, che negli ultimi anni aveva consolidato la sua immagine di imprenditore innovativo e dinamico. Il caso si inserisce in un contesto più ampio di lotta alla corruzione, evidenziando la necessità di maggiore trasparenza nei rapporti tra pubblico e privato. Resta ora da vedere se Iervolino deciderà di ricorrere in appello per contestare la sentenza e tentare di ribaltare l’esito del processo.
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