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Giffoni Film Festival, Maurizio Compagnoni e Giorgio Porrà: "Bisogna saper emozionare senza romanzare in eccesso"

25/07/2024

Al via anche la quinta giornata di Giffoni Sport che è iniziata col talk di Maurizio Compagnoni, con cui gli ambassador hanno parlato degli Europei appena conclusi, del livello della nazionale italiana e di tutti i problemi del settore calcistico: "è stata forse la finale dell’europeo più bella di sempre, di sicuro la più bella dal 1988. Durante le telecronache io sono sempre per la postazione all’aperto per percepire di più l’ambiente e tutta l’atmosfera". Maurizio ha anche spiegato com’è cambiato il modo di preparare una telecronaca rispetto a quando aveva cominciato lui: "Un tempo per preparare la partita ci volevano due giorni pieni. Ora è diventato molto più semplice, in 3 ore prepari tutto grazie a internet, trovi tutte le pronunce dei nomi dei giocatori. Su quello oggi non puoi sbagliare, quando sento un telecronista sbagliare una pronuncia so che è per pigrizia, non si può più fare un errore di pronuncia".

Il telecronista è poi tornato a parlare dell’europeo, più nello specifico dell’Italia: "La squadra atleticamente era messa maluccio. È vero che si gioca troppo, però c’erano nazionali che correvano di più nonostante abbiano giocato più partite. Io ipotizzo che qualche errore nella preparazione di Spalletti ci sia stato. Ad esempio, con Conte nel 2016 facemmo un grande europeo, nonostante il livello della squadra non fosse molto migliore, la differenza è che eravamo molto più feroci. In ogni caso però il livello è basso e i motivi sono due: uno è il caso, banalmente lo sport va a cicli: abbiamo avuto un epoca con Totti, Del Piero, Toni, Gilardino, ora invece abbiamo nomi diversi con tutto il rispetto. Il secondo motivo è che abbiamo un enorme problema coi settori giovanili. Quando sento Gravina dire di mettere una quota di italiani in prima squadra credo sia sbagliato, non ci sono italiani del livello".

Compagnoni ha anche detto quali sono le ragioni dei successi nelle competizioni di categoria delle nazionali minori, evidenziando anche però i problemi che emergono dopo: "I risultati con la nazionale giovanile arrivano perchè a livello tattico siamo avanti in quell’età, ma poi quando si alza il livello tecnico e fisico le qualità pure vengono meno. Di giovani ne produciamo pochi perché è tutto sbagliato nel nostro sistema. Abbiamo allenatori che vogliono fare carriera anziché fare gli istruttori". Compagnoni ha raccontato la volontà di creare un siparietto con Mbappe per cui chiederà una mano ad Ancelotti: "Devo organizzarmi un siparietto con Mbappe per quella volta che l’ho chiamato Pempe, mi sono mangiato un po’ le parole perchè voglio  sempre essere al passo con l’azione per mettere più enfasi su quello che accade. Tanto mi hanno detto che è simpaticissimo".

L’ultimo ospite di ieri dell’Antica Ramiera è stato il giornalista di Sky Giorgio Porrà, che si è aperto con storie, racconti ed emozioni. L’incontro è iniziato raccontando gli esordi di Sky, del quale lui è stato un pioniere: "All’inizio è stato complicatissimo convincere gli italiani a pagare per vedere calcio e cinema, sembrava una scommessa visionaria. Inizialmente non è stato facile, anche perché c’è stato e c’è ancora il fenomeno della pirateria. Però ora siamo ancora qui e quindi la scommessa si è rivelata vincente, ora però occorre continuare a crederci perché il livello della competitività è diventato più alto". Porrà si è anche espresso sul ruolo del giornalista e del giornalismo al giorno d’oggi: "Il confine fra giornalista e narratore di storie è labile. Non mi piace usare il termine 'storytelling' perchè è abusato, per me sarebbe da abolire. Ma in generale ho un problema con gli inglesismi: noi abbiamo una lingua così bella piena di sinonimi da usare.Ora io non so se i giovani d’oggi riusciranno a diventare giornalisti. Vengo da un’epoca in cui gli emittenti davano ancora contratti a tempo indeterminato ai giornalisti, ma ora le cose sono un po’ cambiate. Credo che chi ha il fuoco debba continuare a insistere, ma mi trovo in difficoltà nel consigliare ai giovani di muoversi in questa direzione.” Nel parlare di questo tema, Porrà ha anche speso qualche parola sul giornalismo fatto sui social media, che secondo lui è una sorta di bolla che è destinata a finire: “Nel giornalismo una sfida per me sono i social, che hanno sicuramente tanti vantaggi. Però hanno anche tante cose che non mi piacciono, motivo per cui continuo a fare le cose nel modo in cui le faccio. Lì ci sono tante figure che parlano senza fare una buona pubblicità allo sport".

Nei suoi racconti invece Porrà evidenzia quanto sia importante ricreare le emozioni che devono trasmettere: "Bisogna saper emozionare, non romanzare in eccesso anche perchè spesso chi ci ascolta ne sa più di noi. Io non sono nato storyteller, ma ho fatto tutti i passaggi del caso con una gavetta incredibile per svilupparsi poi nello sport. E tutto quello che faccio ora nasce da quella idea di metà anni ‘90/inizi 2000, quando c’era la possibilità di uscire dal talk tradizionale e provare a raccontare lo sport in maniera diversa". Il giornalista ha anche raccontato il perché racconta il calcio in questa maniera così nobile, quasi epica: “Io insisto nel mettere in relazione il calcio con cinema e quelle che sono considerate forme espressive più nobili, perché voglio elevare anche il calcio al pari di quelle cose". Il giornalista di Sky, nativo di Cagliari, si è anche lasciato andare in un inevitabile ricordo su Gigi Riva, leggendario giocatore della squadra sarda che ha contribuito a rendere grande: "Gigi è mancato lo scorso gennaio ma per noi è un lutto ancora difficile da lavorare. Non è stato solo un fuoriclasse, è stato un uomo che ci ha inventato. Ha inventato noi sardi e la Sardegna. É arrivato orfano negli anni 60 e dopo un iniziale disorientamento se ne voleva tornare a casa, poi però ha capito che quello era il posto per lui, la sua terra promessa. E salvando se stesso ha salvato anche noi sardi. Da Riva in poi siamo diventati l’ombelico del mondo, l’isola del tesoro". Il giornalista ha poi continuato: "ci ha aiutato a darci un’identità, ci ha aiutato ad annullare fardelli storici ed è diventato più sardo dei sardi. Quando è morto credo che in tutta Italia e tutto il mondo ci sia stata un afflizione generale. Credo che nessuno abbia inciso così profondamente su una società".

Fra gli ambassador dell’incontro c’è stata anche un ospite speciale, la figlia di Giorgio, che ha chiesto al padre la storia che ha preferito raccontare: "Negli ultimi tempi quella di Gianluca Vialli è stata la più bella e più potente. Abbiamo passato quasi tutti gli ultimi 15 anni a Sky assieme. Mi è costato un carico emotivo enorme ma sono contento di averlo fatto nel modo in cui sono riuscito. Mi ha mostrato quanto importante sia togliere la buccia all’esistenza e trovare le cose che servono davvero. La sua capacità di trasformarsi e cambiare pelle nel momento più difficile della sua vita è una lezione che non dobbiamo disperdere". Infine Giorgio ha anche affrontato una questione più personale, ovvero a sua malattia: "Ho voluto lavorare anche quando facevo la chemio per far girare energia nella famiglia. Continuavo ad andare in onda anche perché i miei genitori in Sardegna ancora non lo sapevano e non potevo farglielo sapere così. Fare una cosa del genere è complicato. Ma l’ho fatto anche per dimostrare che un tumore non ti può togliere la tua dignità, la tua quotidianità. E quando ne esci sei un essere umano sicuramente migliore. Ti aiuta a eliminare le cose superflue". Un’incredibile lezione di vita appresa dagli ambassador di Giffoni Sport da un grande rappresentante del giornalismo italiano.

 

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